PASSIONE DEL SIGNORE

Il Venerdì dell’amore folle

Ieri è stato il Giovedi dell’amore. Lo si evinceva nell’atto umile e disinteressato con cui Gesù si chinava a lavare i piedi dei suoi discepoli, spiegando che amare intensamente vuol dire sacrificarsi fino al paradosso, non soltanto nelle opere grandiose e straordinarie, ma soprattutto nelle comuni circostanze della vita.

Oggi è invece il Venerdi dell’amore e della pazzia. L’amore che già si rendeva palese in un umilissimo gesto casalingo, adesso si esplicita maggiormente nell’inverosimile, nell’assurdo, in ciò che noi normalmente concepiamo irrazionale e inconcepibile.

Che Dio potesse incarnarsi e assumere sembianza umana, era già impensabile per il mondo giudaico al quale Gesù apparteneva; che poi potesse restare inerte e impassibile alle sofferenze, alle percosse e ai chiodi di una croce, era ancora più insostenibile. Nella mentalità corrente ebraica, come anche per la nostra comune accezione odierna, Dio per essere tale doveva imporsi, esplicitare tutta la sua onnipotenza contro i propri nemici, sottometterli imperativo e indomito e farsi valere contro i suoi avversari. In più, non era concepibile che un Dio, fonte di ogni benedizione, potesse morire appeso a un patibolo ligneo, perché in tal caso era destinato a essere “maledetto”. Era scritto infatti “Maledetto chi pende dal legno” (Gal 3, 14).

Certo Gesù, vero Dio e vero uomo, avrebbe potuto reagire con la forza e con la sopraffazione di coloro che lo stavano oltraggiando, avrebbe potuto mostrare la sua divinità nella preponderanza e nell’affermazione di sé e non gli sarebbe costato nulla evitare la cattura, il processo e la morte ignominiosa sulla croce. E invece preferisce sottostare e assecondare la volontà umana di atrocità e di vendetta, subisce ogni sorta di vessazione, di ingiustizia e di umiliazione e non oppone resistenza quando lo costringono a recare il legno del supplizio sulle proprie spalle, per esservi appeso e morire fra gli insulti e le esecrazioni. Assurdo per il comune pensare del suo tempo e di tutti i tempi. Ma proprio questa è la scelta del Verbo Incarnato Gesù Cristo, quella della “follia”, che è antitetica alla saggezza umana: in Gesù Cristo “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre al nulla le cose che sono (1Cor 1, 27 – 28); Gesù stesso lo aveva dimostrato nella sua predilezione per i poveri, per i deboli e per i peccatori, delineando quali fossero le preferenze sociali di Dio. Lo aveva palesato nella sua disponibilità a guarire i lebbrosi, gli storpi e i non vedenti, superando ogni sorta di pregiudizio che erano costretti a subire; così pure Gesù aveva capovolto la logica umana nella sua vicinanza disinteressata ai peccatori e alle prostitute.

Adesso lo dimostra nell’ulteriore “pazzia della croce” dove ciò che è assurdo diventa ordinario e ciò che è inverosimile è possibile a farsi e la nostra logica corrente è del tutto capovolta. Cristo crocifisso è infatti “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per chi crede è potenza, sapienza di Dio” (1 Cor 23 – 24).

La croce di Gesù non asseconda le pretese razionalistiche di coloro che cercano Dio nella filosofia e nella scienza sperimentale o in altra risorsa del sapere umano; e neppure vogliono soddisfare le attese di coloro che sono disposti a credere in conseguenza di un miracolo o di un intervento soprannaturale prodigioso. Al contrario, essa è una prerogativa umanamente assurda e inconcepibile, che Dio ha scelto come luogo della sua vera potenza. Non ha preferito la croce nonostante la possibilità di riprodurre se stesso nei miracoli o nei ritrovati della razionalità; Dio ha scelto la croce appunto perché vi sono troppe pretese di scienza e di razionalità. Un Dio al quale dunque si accede con l’apertura del cuore e con l’adesione libera e accogliente che è la fede.

Quale giustificazione può avere questa scelta divina se non nell’amore autentico, cioè, istoriato di umiltà e di sacrificio nel dono totale di sé? È appunto per amore dell’uomo che necessita di essere riscattato dai suoi peccati e liberato dalla sua inconsapevole schiavitù che Gesù opta per ciò che noi riteniamo pazzo e inconcepibile. E’ per la salvezza dell’uomo che Gesù paga il prezzo di tutti con il suo sangue, addossando su di sé tutte le pene che noi avremmo meritato per i nostri peccati. È per la croce di Cristo che siamo stati recuperati alla dignità di figli di Dio e possiamo ora sperare nella vita eterna al termine del nostro itinerario terreno e già adesso nei percorsi della vita presente. L’amore vero e disinteressato è sempre quello sacrificato del dono di se stessi; che poi comporti delle scelte umanamente assurde ne prova definitivamente l’autenticità. Non c’è quindi amore più autentico e indubbio da parte di Dio che quello di morire per noi appeso a una croce. Goethe scriveva che la pazzia non è altro che la ragione sotto diversa forma; diciamo che essa è la ragionevolezza dell’amore.

Ci sono oggigiorno genitori che, per evitare il carcere ai loro figli colpevoli di omicidio, autoaccusandosi affrontano essi stessi il processo e la condanna; altri che si ritrovano a dormire per strada pur di assicurare un tetto sicuro ai propri figli. In casi come questi c’è un riverbero dell’amore spassionato della croce di Cristo, ma difficilmente si trova chi sarebbe disposto a tanto eroismo a favore dei nemici e degli avversari. Eppure, il sangue redentivo della croce raggiunge anche coloro che “non sanno quello che fanno”, ossia i peccatori recidivi e ostinati, i lontani, i reietti. I nemici. Tanta e tale è “l’assurdità” del patibolo di Cristo.

Se Dio avesse individuato un rimedio più comodo ed efficace per salvarci lo avrebbe messo in atto e nella sua onnipotenza avrebbe potuto anche far sorgere un espediente più semplice per noi e per sé. Se tuttavia ha deliberato per l’estremo supplizio patibolare, ciò è stato perché nulla di ciò che è umano ha voluto essergli estraneo, neppure la possibilità di amare con l’umiliazione estrema.

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