4° DOMENICA DI PASQUA

Dal Vangelo secondo Giovanni: Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Parola del Signore.

In tutti e tre i cicli liturgici, la quarta domenica di Pasqua è una domenica dominata dalla figura di Cristo buon pastore; è, semplicemente, ” la domenica del Buon Pastore “. Apparentemente sembra una pagina del Vangelo un po’ lontana dalla nostra realtà. Oggi, l’immagine del Pastore ci dice poco o quasi nulla e l’uomo d’oggi rifiuta sdegnosamente il ruolo di ” pecora “. Eppure, egli vi è dentro in pieno; senza che ce ne accorgiamo, noi ci lasciamo guidare supinamente da ogni sorta di manipolazione e di persuasione occulta. Altri creano modelli di benessere e di comportamento, ideali e obbiettivi di progresso, e noi li seguiamo; noi andiamo dietro, timorosi di perdere il passo, storditi dal clamore dei mass media; condizionati e plagiati dalla pubblicità; noi mangiamo quello che ci dicono e vestiamo come ci insegnano altri. Osserviamo come si svolge la vita delle folle in una grande città moderna: è l’immagine triste di un gregge che esce insieme, si agita e si accalca, ad ore fisse, nelle vetture dei tram e della metropolitana, si nutre delle stesse cose volute da altri – cibi o giornali che siano – e poi, alla sera, rientra insieme nell’ovile, vuoto di sé e di libertà.

Il Pastore ci mette davanti la figura eterna e universale del ” capo ” tra gli uomini, il modo con cui i capi, i dominatori e i potenti hanno sempre concepito il loro rapporto con gli uomini, loro sudditi. Un rapporto di dominazione e di sfruttamento: spremere dai sudditi tutto il possibile, come si spreme dalle povere pecore latte, lana e carne, lasciandole il più possibile ” pecore”, cioè deboli, malate, ferite, e soprattutto disperse, cioè, divise tra loro in modo da poterle dominare facilmente con crudeltà e violenza.

Gesù, al suo tempo, constatava amaramente questa realtà truce del dominio che si annida in ogni potere umano. Diceva: I re dei popoli (cioè, i pastori) comandano su di essi e quelli che esercitano autorità si fanno chiamare per giunta anche benefattori. Nel lungo discorso sul buon pastore, Gesù parla di questi falsi pastori umani, con molta lucidità: sono mercenari; ad essi non importa nulla delle pecore; davanti al pericolo, fuggono e lasciano che le pecore siano sbranate (cf. Gv. 10, 12). È il quadro amaro del dominio dell’uomo sull’uomo, dell’autorità come asservimento e sfruttamento dei deboli. Esso è radicato nell’egoismo umano e perciò è eterno.

La storia di oggi, sotto gli occhi di tutti lo conferma. La situazione non è cambiata rispetto al tempo di Cristo. Ci sono ancora zone sulla terra dove la situazione è peggiore che ai tempi di Gesù, dove l’uomo domina sull’uomo, con crudeltà e violenza; l’umanità non è stata mai, e non lo è nemmeno oggi, senza tiranni.

Perché allora Gesù si è appropriato di un’immagine che risulta così compromessa nell’esperienza umana?

Troviamo una chiave di lettura proprio nel brano di oggi, dove per tre volte Gesù dice chi è il Buon Pastore: È colui che offre la sua vita per le pecore. Mostra il vero modello dell’autorità: colui che è capace di offrire la propria vita per la vita delle pecore. Non è la capacità di dominio, non è il potere, non è la dialettica, il successo che fanno un “buon governo”, ma la capacità di offrire la propria vita per la vita del Popolo affidato. Gesù può dichiararsi “Buon pastore”, perché egli dà la sua vita per le pecore che egli ama. È un ribaltamento dell’immagine: dall’essere servito a servire, dall’essere primo all’essere ultimo.

Il Buon Pastore è colui che guida il suo gregge sui sentieri della Pace e non della guerra, che libera il gregge dall’oppressione verso la vera libertà e non imponendogli un nuovo giogo. Il buon Pastore è colui che offre la sua vita andando in prima linea, non mandando gli altri, è uno che si mette davanti alle pecore e nessuno le può raggiungere senza passare attraverso il suo cadavere. È colui che si compromette di persona. L’unità del gregge, anzi anche una sola pecora è per lui importante e anche per questa sola offre la vita. Questo è l’amore vero: dare la vita per la salvezza dell’altro. L’atteggiamento del mercenario è salvare se stesso; l’atteggiamento del buon pastore è offrire la sua vita per le pecore. Nella storia ci sono sicuramente tanti esempi di Buon pastore, ma oggi chi si sta facendo carico del suo gregge con coraggio dinnanzi all’opinione pubblica? Verrebbe da gridare con i giovani di tutto il mondo: “Grazie, Benedetto XVI perché ci sei, grazie perché sei guida instancabile del tuo gregge, grazie perché ti consumi desiderando dare a ogni uomo la vera libertà. Grazie per non essere un mercenario, ma sull’esempio del Buon pastore, conduci l’umanità a ritrovare il cammino sulla Via della Pace.”

Visualizzazioni: 7

Visits: 9

Spread the love

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *