34° DOMENICA DEL T.O. – GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Vangelo: Lc 25,35-43

 
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Parola del Signore.

MEDITAZIONE

 

 

Quando si dice “fare le cose in fretta”. Che poi, a pensarci bene, quando c’è di mezzo Cristo significa disattendere quell’antica certezza della catechesi parrocchiale: “Dio ha tanta pazienza”. Si ammonisce sovente, infatti, di non “fare le cose in fretta” perché – almeno così me l’hanno sempre insegnato – la fretta è una cattiva maestra. Ma se a fare le cose in fretta fosse Dio? Allora le cose cambiano drasticamente: perché un “colpo di testa” (atteggiamento tipico di chi compie certe azioni di fretta) di Dio è una grande confusione per l’umanità. Con buona pace della mia catechista che – tutta presa dal narrare l’inesausta pazienza di Dio – non aveva messo in conto che in certi casi Dio ha una fretta imprevista. E il non calcolare Dio nella trama della ferialità è sempre anticipo di conti che non tornano. Perché certe cose “fatte in fretta” da parte di Lui non sono cose “fatte a caso”, e nemmeno improvvisate: sono semplicemente delle accelerate imbarazzanti rispetto alla velocità dei ragionamenti dell’uomo.

La gente si smarrisce deietro ai mille piccoli dettagli che qui ti vengono quotidianamente addosso, e in questi dettagli si perde e annega. Così non tiene più d’occhio le grandi linee, smarrisce la rotta e trova assurda la vita. Le poche cose grandi che contano devono essere tenute d’occhio, il resto si può tranquillamente lasciar cadere. E quelle poche cose grandi si trovano dappertutto, dobbiamo riscoprirle ogni volta in noi stessi per poterci rinnovare alla lorofonte. E malgrado tutto si approda sempre alla stessa conclusione: la vita è pur buona, non sarà colpa di Dio se a volte tutto va così storto, ma la colpa è nostra. Questa è la mia convinzione, anche ora, che sarò spedita in Polonia con l’intera famiglia”

(E. Hillesum, Lettere, 87)

C’era uno strozzino, il suo nome era Zaccheo: quel giorno Dio fece le cose di fretta: “Scendi subito, perché devo fermarmi a casa tua”. Ancor prima c’era una donna, il suo nome era Maria: anch’essa, anticipo di mille vagabondaggi, fece le cose di fretta: “si mise in viaggio e raggiunse in fretta la casa della cugina Elisabetta”. O come con Pietro e la ciurma di pescatori: quella volta furono loro, segregati da uno sguardo, ad agire di fretta: “subito, lasciate le barche, lo seguirono”. Colpi di testa nel più genuino dei significati: quei colpi di testa – o quei colpi d’ala – che appartengono al gergo degli innamorati. Il Vangelo è la celebrazione della pazienza; certe pagine, però, trasmettono una fretta che imbarazza, persino che angoscia e provoca rossore. E’ la fretta di Dio: c’è un’urgenza e le cose vanno fatte subito, anche a costo di provocare uno strappo al gruppo che insegue. “Oggi sarai con me in Paradiso”: il “colpo di testa” rimasto ancora imperdonato. Perché passi Zaccheo e la Maddalena, Levi/Matteo e Simone/Pietro. Passi anche l’adultera e la samaritana plu-rimaritata. Questo, però, proprio no: quel ladrone incallito non merita il Paradiso. Quella fretta divina di prenderselo sottobraccio e farsi accompagnare all’inaugurazione del Paradiso non aveva ragione d’esserci, rimane il “colpo di testa” mai perdonato a Cristo: infatti, il suo nome – Disma, il primo santo della storia (l’unico canonizzato da Cristo) – non ha posto nei calendari.Tiè, beccati questa: sarà anche solo per invidia o gelosia, ma quello rimane – per chi guarda da quaggiù – una pagina di Vangelo “fatta in fretta”.

Peccato che la fretta di quel Venerdì pomeriggio ebraico fosse sinonimo d’amore. E di riconoscenza, per aver ricevuto la più luminosa delle adorazioni non dal primo papa della storia ma dal brigante incallito che stava crepando vicino a Lui. Niente autocommiserazione, niente piagnistei, tanto meno adulazioni. Semplicemente uno sguardo e una confidenza: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Quasi a dire: “vai, tu sì che sei innocente. E per di più sei il Re. Il mio Re”. Parole che accendono la fretta nel cuore del Crocifisso: “oggi sarai con me nel Paradiso”. E’ la fretta dell’Amore: che non si lascia sfuggire l’occasione, che s’incunea nella fessura lungamente adocchiata, che strappa la grazia alla disgrazia, che riscrive le deficienze di una vita intera per quell’ammissione di colpa e di regalità. Cristo ha pazienza: perché certe esistenze, per essere riaccreditate, hanno bisogno dei tempi lunghi della rieducazione. Cristo, però, talvolta ha tanta fretta: quando l’uomo è in balìa delle fauci del male, basta uno sguardo e Cristo “fa le cose di fretta”. Che non significa fare le cose a caso ma farle con lo sguardo dell’Amore: che riesce a leggere laddove lo sguardo dell’uomo non riesce. In quell’abisso della coscienza dov’è stampato il brevetto evangelico: l’abisso che invoca l’Abisso.

Un giorno disse: “peccatori e prostitute vi sorpasseranno”. Lo spiegò con i gesti della pazienza, ma l’uomo non capì. Un giorno agì di fretta: e aprì il Paradiso con il meno quotato degli uomini. Un perfetto uomo di periferia.

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