6° DOMENICA DI PASQUA

Dal Vangelo secondo Giovanni: Gv 14,15-21

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Parola del Signore.

Prima di passare da questo mondo al Padre, Gesù promette ai suoi discepoli il dono dello Spirito, del Paraclito, ovvero dell’avvocato difensore che proteggerà i discepoli stessi nella lotta che dovranno sostenere in un mondo ostile (vangelo); questo Spirito guida la presenza cristiana nel mondo sulla via della mitezza e del rispetto degli «altri», i non credenti (II lettura) ed accompagna la predicazione degli apostoli che da vita a nuove comunità cristiane (I lettura).

     Dall’evento pasquale sgorga la speranza come responsabilità dei cristiani. Di essa i cristiani devono essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). «Sempre», dunque in ogni ambito e momento della vita; «a chiunque», dunque non a qualcuno sì e ad altri no, ma a tutti. Inoltre di essa i cristiani devono «rispondere», cioè divenire responsabili: è la testimonianza che solo loro possono dare al mondo. Chi chiede conto della speranza, ne chiede anche un racconto: nella storia i cristiani si collocano come narratori di speranza. Prima ancora che in rapporto agli uomini, la speranza è responsabilità del cristiano in rapporto a Dio, è risposta a Colui che l’ha chiamato alla fede e alla speranza: la «speranza della vocazione» (Ef 1,18) è la speranza dischiusa dalla chiamata divina in Cristo Gesù. La speranza cristiana come responsabilità si situa pertanto tra chiamata di Dio e domanda degli uomini: è responsabilità unica e duplice al tempo stesso, come il comando di amare Dio e il prossimo è duplice e unico al tempo stesso (Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28).

     La nascita della Chiesa in Samaria procede dall’annuncio di Cristo («Filippo, sceso in una città della Samaria, predicava loro il Cristo»: At 8,5) e dalla discesa dello Spirito («Pietro e Giovanni …. imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo»: At 8,17). Il rapporto di collaborazione e fiducia tra Chiesa madre di Gerusalemme (At 8,14) e la nascente comunità in Samaria dice come la parola del vangelo e lo Spirito santo superano le barriere culturali e le separazioni etniche, le divisioni religiose e gli odi atavici: tra Giudei e Samaritani, infatti, non intercorrevano rapporti (Gv 4,9) a seguito di una storia ormai antica che protraeva nel tempo i suoi strascichi di incomunicabilità. I frutti della resurrezione si misurano anche in questa capacità di superare le rivalità antecedenti trovando unità e comunione in Cristo.

     Il vangelo presenta la promessa del dono dello Spirito da parte di Gesù, ma anche la promessa della sua venuta: «Ritornerò da voi» (lett: «verrò da voi»: Gv 14,18). La preghiera cristiana, che sempre avviene nello Spirito e in Cristo, sarà anche sempre invocazione dello Spirito, epiclesi, e invocazione della venuta gloriosa del Signore, Marana tha. Ovvero, avrà sempre una connotazione escatologica determinante. Il Cristo, inoltre, promette anche la sua intercessione, la sua preghiera al Padre per i discepoli («Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito»: Gv 14,16) e questa preghiera di Gesù è lo spazio al cui interno avviene ogni preghiera cristiana.

            Lo Spirito che Gesù promette sarà nel discepolo (Gv 14,17) diventando principio di vita interiore e interiorizzando in lui la presenza di Cristo. La sequenza di Pentecoste canta lo Spirito quale dulcis hospes animae (e anche consolator optime, dulce refrigerium). La dolcezza e la tenerezza che furono del Cristo, sono anche dello Spirito che spesso nella tradizione è stato evocato con immagini materne: «Lo Spirito è il seno in cui Dio è fecondo come una madre» (François-Xavier Durrwell). L’azione dello Spirito nel credente è quella di creare in lui una sorgente di vita per gli altri, anzi, di fare di lui uno spazio di vita per gli altri, capace di generare e dare vita. Lo Spirito, che è promessa e dono del Risorto, è anche tenerezza materna. E se esso insegna al cristiano a pregare, lo fa proprio come una madre: «Lo Spirito santo ci insegna a gridare “Abbà” comportandosi come una madre che insegna al proprio figlio a chiamare “papà” e ripete tale nome con lui finché lo porta alla consuetudine di chiamare il papa anche nel sonno» (Diadoco di Fotica).

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