DOMENICA DELLE PALME

PASSIONE DEL SIGNORE

1° Lettura: Isaìa Is 50,4-7

2° Lettura: Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési 2,6-11

Vangelo: Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo 26,14-27,66

MEDITAZIONE

Con una liturgia incredibilmente ricca, la Chiesa, ci introduce, oggi, alla grande settimana, la “Settimana Santa”, che ci avvicina al cuore del Mistero dell’ amore di Dio, che si rivela nel sacrificio del Figlio Gesù.

La celebrazione prende l’avvio dal ricordo dell’ingresso del Signore in Gerusalemme, tra le acclamazioni della folla: ” Molti, recita il testo di Marco, stendevano i propri mantelli sulla strada, e altri, delle fronde, che avevano tagliato dai campi. Quelli, poi, che andavano innanzi e venivano dietro gridavano: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene! Osanna nel più alto dei cieli!”. (Mc 11, 8-10)

Sembra che la moltitudine, riconosca, esultante, il Cristo di Dio, che ricordi i benefici da lui ricevuti e quegli insegnamenti nuovi e carichi di speranza.

Ma la folla, si sa, è mutevole, è facile preda degli umori, in essa, la persona, si fa massa, facilmente manipolabile, da chi vuole, e sa pescare nel torbido, soprattutto, se deve far valere, ad ogni costo, i propri progetti di potere.

Ed è così, che, solo pochi giorni, dopo questo felice ingresso nella città Santa, dove il Maestro avrebbe celebrato la Pasqua coi suoi discepoli, ritroviamo la medesima folla che, ormai in preda ad un’ esaltazione di violenza, urla soltanto: ” Crocifiggilo!”, e accompagna, col suo vociare scomposto, Gesù, fin sul Calvario, tra insulti, derisione, e blasfeme parole di sfida.

È quel che leggiamo nel lungo, drammatico, racconto della “Passione”: quei tre giorni, i più lunghi e bui della storia, nei quali l’uomo riversa sul suo Salvatore, tutta la torbida schiuma del male, di cui, purtroppo, è capace.

Della passione del Figlio di Dio, già tanti e tanti secoli prima aveva parlato il profeta Isaia, nel cantico del ” Servo sofferente”, un canto che ci lascia senza parole, di fronte al silenzio e alla mitezza dell’Uomo, non un simbolo, ma la persona del Figlio di Dio:”….non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro, recita il testo, ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a chi mi strappava la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi…”

L’apostolo Paolo, poi, canta questo incredibile mistero dell’annientamento di Dio nell’uomo-Gesù, nell’inno Cristologico della lettera agli Efesini, un inno che dovrebbe sempre esser presente al nostro sguardo e vivo nella nostra memoria, perché è per noi, per ricreare la nostra originaria bellezza e dignità di creature, fatte ad immagine di Dio, che Cristo Gesù: ” pur essendo di natura divina, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo….umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce…”.

Nei testi di Isaia e Paolo, possiamo leggere, in sintesi, il lungo racconto della passione e morte di Gesù, fino a quel grido finale ” Dio mio! Dio mio! Perché mi hai abbandonato?”, mentre, come l’Evangelista scrive: “..si faceva buio su tutta la terra…e il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, e le rocce si spezzarono e i sepolcri si aprirono….”; è l’evento più tragico della Storia, ma non l’ultima parola su di essa.

C’è una luce che accompagna e sottende il dramma del Cristo che muore, una luce che si è accesa, in modo straordinario ed intenso, tra le pareti di quel cenacolo, che ha visto l’ultima Pasqua del Figlio di Dio, Colui che solo sa amare ” sino alla fine” (Gv..13,1); è la luce dell’amore che si dona, in quella forma unica che è l’Eucarestia: il corpo offerto alla morte e il sangue versato, sino all’ultima goccia.

Mi piace rileggere quel momento fondante della nostra fede e della nostra salvezza nel testo della prima formula eucaristica, che così recita:” Alla vigilia della sua passione, egli prese il pane nelle sue mani, sante e venerabili, e, alzando gli occhi al cielo a te, Dio Padre onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione, spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse:- Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi. Allo stesso modo, dopo la cena, prese questo glorioso calice, nelle sue mani sante e venerabili, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli e disse:- prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato, per voi e per tutti, in remissione dei peccati…”

E’ questa, la luce che accompagna, anche i momenti più drammatici della passione e morte di Cristo, è la luce dell’ Amore, che infinitamente si dona, dimentico di sé, per rifare l’uomo, per ricostituirne la grandezza e la bellezza, per far risplendere nuovamente in lui, i tratti, se così si può dire, idi quel Padre che l’ ha creato; e, ciò, entrando in quella comunione misteriosa e profonda, che si realizza, mangiando e bevendo il corpo e il sangue di Cristo Redentore.

C’è un momento, nel racconto della passione di Cristo, in cui il governatore Pilato, lo presenta alla folla; Gesù è esausto, sfigurato dal dolore delle percosse, dei flagelli e della corona di spine, che fa di lui un re da beffa’, e, come nota l’evangelista Giovanni, lo presenta con queste parole: “Ecco l’Uomo!” (Gv.19,5); in quel momento, Cristo, che ha preso su di se l’incalcolabile peso del peccato, si fa icona dell’uomo, che attende di esser redento.

Passeranno, solo tre giorni, e, quello stesso Uomo, che, come il Profeta, afferma: “non ha più splendore né bellezza…”(Is.53,2) risorgerà splendente, in quell’unico mattino di Pasqua, che non conosce tramonto, e la sua luce trasformerà ogni altro uomo, che, in Cristo, voglia rinascere e con Lui vivere.

Quelle mani, che la liturgia dice: “sante e venerabili”, quelle mani, che si sono alzate solo per risanare, e che si sono lasciate crocifiggere, per amore, quelle mani, sostengono ancora il mondo e guidano la Storia, la nostra storia, ancora inquinata dal male, e resa, spesso, incomprensibile dalla violenza, sono le mani del Figlio di Dio, che, sempre, si consegna a noi nell’Eucarestia, il sacramento che, innestandoci a Lui, ci dà la forza e la grazia, non solo di amarlo e seguirlo, ma, altresì, di testimoniarlo, presente tra gli uomini, perché a tutti giunga la grazia della redenzione, e ogni uomo riconosca nel Cristo, crocifisso per amore, Colui che, veramente, è il Figlio di Dio.

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